“Lu’, ti devo parlare. Ci possiamo
vedere questa sera a casa mia?”
“Certo! A che ora facciamo?”
Lucia
e Laura le conoscono tutti a Bruxelles o, per essere più
precisi, tutti sanno che sono due gemelle pressoché identiche che lavorano
nelle istituzioni o, più precisamente, al Consiglio; che delle istituzioni è da
tutti considerata la più potente.
Il
potere lo si coglieva in tutta la sua presenza in Lucia mentre la sua assenza veniva
silenziosamente taciuta in Laura.
Le
loro erano state due vite che si erano sempre mosse in parallelo ma con Lucia
leggermente in avanti sulla linea del tempo. Delle due, infatti, lei era stata la
prima a nascere e da allora ciò aveva condizionato i
successivi avvenimenti delle loro esistenze a partire dal modo stesso in cui venivano
affettuosamente chiamate dalla madre: Lucia era la “Prima” e Laura la “Seconda”.
Nel
corso del tempo tale fatto aveva determinato nella Seconda un costante ritardo
nei suoi desideri e nei suoi bisogni.
Come
accade in tante famiglie le due sorelle un po’ si
emulavano ma poi, diversamente da come succede normalmente, non avevano cessato
di farlo. Quanto faceva la Prima si realizzava a distanza di tempo (qualche
volta dopo un po’ più di tempo e tal altra dopo un po’ meno) nella Seconda.
Quasi che dopo un po’ per sapere che cosa stesse per accadere alla Seconda,
diciamo tra anno, lo si potesse desumere con precisione quasi matematica
osservando ora il comportamento della Prima.
Le
due traiettorie esistenziali dunque procedevano parallele ma solo con un po’
di T a differenziarle; temporalmente asincrone, ma largamente prevedibili;
almeno per la Seconda. Quando anni prima la Prima decise di fare un master di “Politiche
pubbliche” a Parigi, la Seconda ci aveva impiegato qualche mese prima di optare
per la medesima scelta convincendosi che sarebbe stato un bene anche per la sua
carriera l’ulteriore ciclo di studi sulle rive della Senna.
La
Prima, nel frattempo, aveva già programmato la
prossima meta della propria vita professionale ed era così atterrata sul Palazzo
Justus Lipsius a Bruxelles. Da qui di tanto in tanto sottolineava, tra una cosa
ed un’altra, quanto fosse allettante la prospettiva di un incarico ben
retribuito all’interno delle istituzioni.
“Dovresti iscriverti all’EPSO!” sussurrava
la Prima tra una chiacchiera ed un messaggio alla Seconda, mentre quest’ultima
in un pomeriggio di fine settembre, a Parigi, girando tra Rue Bonaparte, Rue du
Vieux Colombier e approdando poi a Rue Férou si era interrogata sul perché trasferirsi
a Bruxelles. Ma poi era andata a finire come era andata a finire ossia si era
ritrovata a fare la funzionaria al Consiglio.
“Facciamo alle sette questa sera a
casa mia. Ok?”
“Bene, bene. Ciao!”
Fece
due giri dell’isolato alla ricerca di un parcheggio
quando finalmente vide che una macchina aveva appena messo in moto mentre le
frecce direzionali ne segnalavano l’immediata partenza. Attese qualche attimo e
intanto pensò che cosa avesse da dirle Lucia tanto da invitarla a casa sua.
Parcheggiò
e tirò fuori le chiavi dell’appartamento della gemella non senza aver prima
dato al citofono due brevi squilli seguiti da uno lungo. Salì all’ultimo piano
e vide la porta accostata in attesa del suo ingresso.
“Hai già cenato?” fece la Prima.
“No, non ancora”, rispose la Seconda
levandosi il cappotto e gettandolo sul divano.
“Un piatto di pasta?” domandò la
Prima prendendo il cappotto della Seconda per appoggiarlo sull’attaccapanni.
“Sì, ok per un piatto di pasta. Hai
ancora il sugo di mamma?”
“Certo. Conservato per questa sera”,
replicò la Prima andando verso la cucina per mettere su l’acqua della pasta e
poi da lì gridò “hanno aperto una posizione alla Delegazione a Washington e mi
sto informando su come fare per andarci”. E poi aggiunse tornando in sala con due
calici “non sarebbe male, vero?”
“No, non sarebbe male per niente. Davvero!” Ma poi Laura esclamò
“Washington? Troppo lontano!” levandosi le scarpe e portando le gambe sul
divano.