Si
continuava ad osservare il dito medio sinistro e per la prima volta scoprì
l’esistenza di un lungo pelo nero all’altezza della seconda falange: disegnava
una specie di volta che partiva da sinistra e si stendeva pigra quasi a concludersi
al capo opposto. Non ci aveva mai prestato attenzione.
Perché
solo adesso?
Gli
tornarono alle mente le parole del suo amico Hans: insisteva, amaro, sul fatto
che attualmente si tende a pensare e a scrivere scrutandosi l’ombelico
mentre tutto accanto si svolge, triste, l’ennesima catastrofe quotidiana,
presto sostituita da un’altra sulle pagine dei principali quotidiani.
L’osservazione
dell’ombelico quale sollievo morale? Oppure boa di salvataggio cui aggrapparsi
per volgere gli occhi altrove, nell’istante in cui ogni cosa affonda e si ha
paura di colare a picco insieme? O forse è solo un palliativo?
Una
piccola brezza intanto entrò nello studio
tagliando di traverso la finestra con i doppi vetri. Lui continuò a scrutare quell’interminabile
pelo massiccio.
Spesso.
Si
interruppe e prese un foglio di carta bianca e cominciò
a farci degli scarabocchi sopra. Ne venne fuori un banale triangolo isoscele.
Non aveva mai posseduto una grande fantasia e i disegni che faceva alla fine non
erano che mediocri forme geometriche. Ma quel triangolo gli materializzò la
Randelli, la professoressa di matematica e fisica del liceo. Che lo
terrorizzava tuttora. Di matematica e fisica ormai rammentava più nulla. Ma ricordare
la Randelli, vederla entrare alta e austera e avvicinarsi alla cattedra il
lunedì mattina le prime due ore quando ancora era viva l’angoscia della
settimana appena iniziata era puro panico.
Una
spremuta di ansia.
Un
distillato di tormento.
Scosse
la schiena, rabbrividendo.
Vediamo
chi dobbiamo interrogare oggi, domandava spietata la Randelli mentre lui si
celava lentamente dietro il compagno di scuola seduto al banco davanti,
pregando in silenzio di non sentire estrarre il proprio nome.
Pregare!
All’ora
di religione si bestemmiava spavaldamente ma poi quando giungeva quella di
fisica si chiedeva l’aiuto di Dio, promettendo di smettere di imprecare la
prossima lezione di religione.
False
promesse.
Promesse
fatte nel momento del bisogno.
Quando
il nome chiamato e, richiamato, era proprio il suo e non un altro, si augurava il
tutto si concludesse subito e senza dolore, un taglio netto; come poi avveniva
regolarmente con il solito due sotto lo sguardo beffardo dei compagni. Chissà
cosa pensavano loro prima di prendere sonno la sera.
Chissà
su cosa si arrovellava Cristo prima di addormentarsi.
Eccolo
di nuovo il pelo a volta. Una volta incompleta. Non si congiungeva con l’altro
lato. Rimaneva lì, indeciso. La completo o non la completo questa volta,
sembrava interrogarsi. La fatica di concludere, se ne doleva.
Se
è vero il teorema che gli era capitato di leggere un giorno da qualche parte secondo
cui in un “mondo che ci obbliga all’eccellenza fare schifo è un gesto
rivoluzionario”, allora un suo corollario adulterino non poteva essere che quello
di interrompere sistematicamente e con giudizio ogni incombenza cominciata: un atto
di ribellione.
Un inno d’amore rivolto alla dea della
sospensione.
Tornò
a contemplare il lungo pelo apparso sul dito medio che non aveva alcuna
intenzione di concludere la sua volta. Voleva lasciarsi incompiuto. Lo riguardò
nuovamente e vide che era sparito ora.
Non c’era più.