venerdì 29 marzo 2019

39. Ma smettila con Tinder, per favore!




Avevo lavorato tutto il sabato pomeriggio. Con Boubacar, un mio amico ingegnere nato in Italia ma di origine senegalese, emigrato anche lui qui a Bruxelles, c’eravamo squillati più volte per accordarci per la cena.
“Ti devo assolutamente raccontare una cosa”, mi aveva annunciato elettrizzato.
Ero curioso.
Alla cena, poi, avevano deciso di unirsi anche la mia compagna e una sua amica.
Dopo svariate ricerche su “the fork” alla fine s’era optato su un greco a due passi dal “parvis” di Saint Gilles, famoso per le petits os. Avevo attraversato tutta avenue de Stalingrad osservando i caffè che sembravano gay club, mentre la frutta e la verdura venivano nuovamente riposte all’interno dei negozi.
Al ristorante l’atmosfera era quella del sabato sera: confusione e gente dappertutto.
A tavola mi siedo accanto a Bouba mentre dall’altro lato si mettono la mia compagna e Sofia, una sua amica della provincia di Bologna. Il tempo di ordinare e attacco:
“Be’… ‘sta cosa che dovevi raccontare?”
Era un fiume in piena.

Ci racconta che è qualche settimana che esce con una tipa conosciuta su Parship.
“Parship?”
Facciamo noi in coro.
“Non sapete cos’è?”
Scuotiamo la testa.

“Conoscete Tinder, immagino”, fa lui.
“Sì… più o meno…”, rispondo io, mentre la mia compagna mi rivolge uno sguardo interrogativo.
“Parship è un sito per incontri. Ma per persone esigenti.”
“Wow” esclama la mia compagna.
“Siamo tutte esigenti”, fa Sofia, sorridendo e sistemandosi i capelli.
“Mi sono stancato di stare dietro a mezzi appuntamenti con mezze persone con cui poi, alla fine, non hai un cazzo in comune”.
Annuiamo.
“Come funziona?”, fa Sofia, nuovamente single da qualche settimana.
“Funziona che t’iscrivi, fai un test psicologico e poi ti paghi la tua quota: ci possono volere anche cinquecento euro all’anno. Ma sono soldi ben investiti! Credetemi.”

“Un botto!”, esclamo io mentre Sofia diventa bianca in volto e domanda: “scusate, dov’è il bagno? Non mi sento tanto bene”.

“Ehi… che succede? Tutto bene? Posso aiutarti?”, fa la mia compagna.
“No, no, non preoccuparti. Non mi sento molto bene. Ho solo bisogno di un bagno: sapete dov’è?”
“No, andiamo a vedere, forse è lì dietro” dice la mia compagna indicando una porta sul retro.
Siamo ancora mezzi sbigottiti dal malore di Sofia, quando Bouba riprende infuocato “Parship rispetto a Tinder taglia fuori un sacco di gente: certo ci devi mettere sopra del “cash”. Non è che se lo possono permettere tutti.”

“Altrimenti va a finire come su Tinder: ci sta il mondo. E poi lo sanno tutti: su Tinder ci vai per scopare; su Parship no”.

“Prendi per esempio ‘sta tipa con cui sto uscendo ora: mi piace a bestia! È colta, sofisticata, parla quattro lingue. Pensa un po’…”, Bouba ormai non sta sulla pelle, “io avevo messo, tanto per dire, che mi sarebbe piaciuto parlasse anche wolof; e sai che cosa è successo? Ho trovato una tipa che ha fatto la cooperante in un progetto non lontano da Dakar e s’è pure imparata la mia lingua. E poi è ingegnere come me. È una che fuma solo il fine settimana come me. E poi le piace svegliarsi presto il week end come me. È esattamente come la volevo io.”
“Come funziona ‘sta cosa?, mi spieghi”.
“Guarda… tu devi mettere una serie di filtri. Per esempio, a te come piacerebbe?”
“Be’… va be’… io sono a posto.”
“Sì sì… questo lo so… facevo solo per dire.” È inarrestabile “io per esempio ci ho messo: deve parlare almeno tre lingue; piacer fare le passeggiate; volere i figli; leggere almeno dieci libri all’anno; essere vegetariana, ma non troppo; fare la raccolta differenziata; non deve avere l’alitosi; andare d’accordo con i suoceri.”
“Una marea di filtri”, scuoto la testa.
“Parship è per professionisti esigenti. Mica per cazzoni come te” e rifacendosi serio “su Parship non ti può succedere nulla. Tranne che d’innamorarti.”
“Sì… di te stesso!”, faccio io e poi “ma che fine hanno fatto le ragazze?”

venerdì 22 marzo 2019

40. Come evitare di pagare il secondo bagaglio con Ryanair




Non ho nulla contro Ryanair. Ma su ’sta cosa del secondo bagaglio da pagare, per me, la stanno facendo veramente sporca. Infatti, non tutti lo pagano; e di ritorno da un viaggio fatto di recente ho capito, forse, come evitarlo.
Vuoi sapere come?
Prendi carta e penna e mettiti comodo.
Oddio: mi sto sentendo tanto il mitico Salvatore Aranzulla.
Dicevo… non ho niente contro Ryanair anche se di tanto in tanto mi capita di parlare con assistenti di volo che alzano gli occhi al cielo o allargano le braccia, quando chiedo loro com’è lavorare per questa compagnia.
Provo a tornare in Italia con una certa frequenza, e se non vado in bancarotta, devo certamente ringraziare le tariffe di Ryanair; e cerco di tornarci per diverse motivi. Be’, tanto per cominciare, ho un lavoro che me lo consente: viaggia con me; con molti pro e qualche contro.

Ne è passato del tempo da quando ho scoperto la mia allergia all’orario nove-diciassette. Il mio ritmo circadiano non segue questa logica e non posso farci granché: ho preferito farne i conti, prima di dar da matto.

In secondo luogo, mi piace tornare a Bruxelles dopo il mio soggiorno italiano: mi ricorda le cause per cui sono partito e mi rinfresca quelle per cui mi piace ancora questa città. In Italia, poi, esiste la varietà delle stagioni e quando è primavera è effettivamente primavera: “no fake spring season. Infine, quando vedo un vocale su WhatsApp da sette minuti mi sento il cuore a mille; e non è Calcutta. Molto probabilmente è mia sorella che deve dirmi qualcosa e, allora sì, che sono vagonate di paracetamolo. Con un familiare malato sono sempre terrorizzato dalle chiamate con prefisso +39: non so mai; e quindi torno spesso, appunto, per verificare la situazione di persona.

All’aeroporto della mia città, città di provincia che somiglia un po’ alla Grosseto descritta da Bianciardi, conosco un po’tutti.

Saluto i baristi indaffarati al caffè nell’atrio, gli annoiati addetti al controllo di sicurezza prima di appoggiare il computer sul nastro e i tipi che stanno al “gate”: sono tutti un po’ una piccola famiglia per me. E se talvolta ho qualche chilo di troppo chiudono un occhio: comprendono le esigenze della valigia dell’emigrante.
L’ultima volta temporeggiavo con il tipo al “gate”, si parlava del paese, delle condizioni di lavoro in aeroporto che costringono i dipendenti a continui rinnovi di contratto, o cosi mi è parso di intendere. Insomma, il mio amico aveva voglia di chiacchierare. E a me non dispiaceva.
L’aereo era già lì da un pezzo. Avevano imbarcato tutti.

Ero l’ultimo, o almeno cosi pensavo, quando vidi arrivare un passeggero con due bagagli.

Il mio amico mi stava informando di quello che succede dalle sue parti e intanto contava le fascette gialle che vengono normalmente messe sul “trolley” da stivare.
“Quaranta, quarantuno, quarantadue, che poi…” fa lui “non capisco come hanno fatto a fare ‘sta cazzata. Davvero… quarantatré…”.
“Be’… è sempre un casino…” faccio io di rimando con l’obiettivo, però, di cambiare argomento e avere una spiegazione su quanto era successo un attimo prima:
“ma… senti… ma il tipo passato ora aveva due bagagli. Ho visto che lei gli metteva la fascetta sul «trolley» e dirgli di consegnarlo poi per essere imbarcato. E non ha pagato nulla. Ma come funziona?”.
“Come funziona? Quarantaquattro, quarantacinque… ah… come funziona?”.
“Sì… esatto. Come funziona? Perché non ha pagato?”.

“Ryanair ci ha dato disposizione di fare in questo modo per tutti i voli che partono dall’Italia.
Gratis!
Zero euro per l’imbarco del secondo bagaglio.”

“Cioè?”
“E niente… è così…, quarantasette, quarantotto, aspetta… quarantasei, quarantasette, cosi ci hanno detto. Boh… immagino visto il bordello legale che c’è, preferiscono stare tranquilli e non complicarsi la vita con le richieste di risarcimento che poi arriveranno; non saprei: mi sono fatto quest’idea”.
“Ah però…” sono piacevolmente sorpreso.
Gli do un abbraccio, lo saluto e mi dirigo verso l'aereo. Il sei maggio voglio provarci anche io.

venerdì 15 marzo 2019

41. Sui contrattempi che ti fanno sentire sfigato come la morte (terza e ultima parte)




“Come dicevo lei ha due possibilità: la prima, trova un modo per riportare l’automobile al deposito. Oppure… le inviamo noi un carro attrezzi. Veda lei.”
“E quanto mi costerebbe?” 
“Trecento euro!”
Silenzio.
Tendo ad essere prudente: quando avevo noleggiato la macchina avevo anche deciso di fare una di quelle assicurazioni integrative: quali condizioni avrò sottoscritto?
Ci sono!
“Ho l’assicurazione e potrei rompere il vetro cosi recupero le chiavi, che dice?”
“È un’opzione: ci rifletta; tanto il carro attrezzi non potrà arrivare prima delle otto e mezza.”
Riattacca.
La mia compagna mi suggerisce di provare con un altro.
Ottima idea: chiamo subito.

Arriva in venti minuti, dice; e risolve il problema con cento euro. Ovviamente non arriva in venti minuti e sono quasi le sette e mezza quando noto un carro attrezzi traballante avvicinarsi.

Al tizio dico delle chiavi e lui “no, «chef», non posso fare nulla: potresti averla rubata.”
Sto per bestemmiare.
“Lo so… non l’hai rubata. Ma in casi come questo dobbiamo avvisare la polizia.”
“Sì, vabbe'…” penso.
La luce dei fanali si fa sempre più fioca. Sta andando giù la batteria. Si attivano i tergicristalli: ci guardiamo stupiti. Mah.
Chiamo l’agenzia: è chiusa!
Mi squilla il cellulare: è l’agenzia; porgo il telefono al tipo. Ok, proviamo ad aprirla, mi dice, ripassandomelo. Lo guardo speranzoso.

Va verso il camion e torna con un materassino di gomma resistente simile, tanto per capirci, a quello che uno usa a mo’ di cuscino quando vuole dormire in aereo. Lo infila tra lo sportello e il tetto e comincia a gonfiarlo con una pompetta fissata all’estremità.

“Ma tu facevi il ladro d’auto?”, e lui mi sorride mostrandomi i denti con l’apparecchio. “Un attimo”, e si riallontana verso il camion.
Ritorna con un’asta di ferro “«chef…» il prezzo cambia… fanno centottantacinque euro.”
“Basta che apri ‘sta cazzo di macchina” penso acconsentendo.
Infila l’asta nello spazio ricavato tra il tetto e lo sportello e prova ad arpionare la maniglia giù in basso. Sospira. Impossibile beccare la maniglia e l’asta più che di ferro sembra di carta tanto difficile è manovrarla. Prova e riprova e… click: lo sportello si sblocca.
Esulto.
Prende i cavi per la batteria, li collega e rimetto in moto. Sto per partire… ‘orca troia devo fare benzina!
“Posso pagarti con la carta?”
Mi fa no con la faccia, dispiaciuto.
Ci sono dei bancomat dentro gare du Midi, suggerisco.
Partiamo e scopro che sono fuori uso tutti e tre ed ho un solo desiderio: liberarmi della macchina. Altro giro, ritiro e finalmente consegno il pattuito. Volo al parcheggio: il box della Storm car hire è chiuso.
Salgo per lasciare le chiavi nella cassetta quando vedo l’ufficio ancora aperto.
“Vuole fare il «checkout» ora?” mi domanda l’asiatico.
Scendiamo.
Apre l’abitacolo, accende il quadro e controlla che la benzina sia “full”. Perlustra la macchina e constata che non ci sono danni.

“Posso andare?”
Intravedo la luce fuori dal tunnel.
“Sì… ah… un attimo: a che ora andava riconsegnata?"
“Alle diciotto.”
“Be’… sono le ventuno passate.
Dovrei farle pagare un altro giorno.”
Non replico.

“Lasciamo perdere: chiudiamola qui questa storia” mi dice.
Sono libero.
Do un occhio alla “app” della Stib: ho il tram fra due minuti. Corro. Il display alla fermata mostra le due freccette che ne indicano l’arrivo. È appena passato, ovviamente.

Oggi è così, ormai.

Mi dirigo verso la metro. Ricordavo di avere ancora qualche biglietto sulla “MoBIB” ma invece “Solde zero”.

Carico nuovo carnet, scendo e attendo. Arriva la metro, ci salgo: sono morto. Non ho più voglia né di Tokyo né di Berlino ma soltanto del divano.



venerdì 8 marzo 2019

42. Sui contrattempi che ti fanno sentire sfigato come la morte (seconda parte)




“Lei non ci crederà ma ho la macchina chiusa con le chiavi dentro. Non mi domandi come ho fatto che non ne ho la più pallida idea” gli dico dopo essermi avvicinato a lui.
Si accosta all’auto, butta un occhio dentro e scuote la testa come a dire “mai vista una cosa del genere!”
Condivido, cercando un po’ di conforto.
“E adesso?”, lo imploro.
“Ma è una macchina affittata?”, domanda lui sorpreso, osservando la targa.
“Sì, perché?”
“Be’… se la deve portare a gare du Midi… io lavoro all’agenzia “Paylesstomorrow”. Come si chiama la sua?”
Storm car hire.
“Ah… perfetto. Sono vicine. Posso passarci e dire del suo problema. Se mi dà il numero di telefono…”
“Il mio?”
 “Be’… certo… così… così la faccio chiamare.” “Comunque…”, mi suggerisce, “forse converrebbe… levare il tubo della benzina e spostare l’auto da qui in mezzo, che dice?; e magari metterla in un posto che non dia fastidio, tipo là”, e mi indica uno spazio accanto ad una vetrina che scopro poi essere un bar.
Riposiziono l’erogatore della benzina sulla colonnina, spingiamo la macchina, gli lascio il numero e il tipo svanisce.

Passate da poco le cinque. E il pomeriggio che profumava di primavera ora puzza d’inverno pesto.

Decido di entrare al bar. La barista, attraente e disinvolta, si mostra indaffarata; troppo indaffarata, anche in considerazione del numero di clienti pari a uno.
Mi chiede cosa voglio.
Ho voglia di vino rosso.
Mostra orgogliosa una bottiglia lasciandomi intendere che si tratti di una riserva, la apre e me ne fa assaggiare un sorso. Le confermo che va bene. La scena mi sembra surreale: ho altro per la testa.
Mi siedo su un trespolo, guardo degli uomini che armeggiano su dei flipper mentre la barista pigia su un telecomando per proiettare, su uno schermo impiccato sul soffitto, della musica in francese che parla d’amore.

Non ascolto più: mi estranio.

“Metà maggio. Ultimi compiti in classe e ultime interrogazioni. Ancora in bilico se essere rimandato o meno. Hai scelto di giocare con la sorte. Sei entrato alla seconda ora. Ti sei fatto interrogare di scienze. E poi sei uscito per evitare il compito di latino falsificando il registro delle presenze. Ti hanno scoperto. Hanno deciso di farti ripetere la terza.”
Cacahuètes?”
Monsieur, vous voulez les cacahuètes?
Monsieur?
Oh… oui, merci!
Sorseggio un po’ di vino rosso e prendo due arachidi mentre i tizi continuano a chiedersi se il vetro sul flipper vada montato così o cosà.

Smetto nuovamente di ascoltare: mi assento.

“Novembre…”
“Ma quella cazzata non l’ho fatta io!”
“Ok. Piena estate. Macchina sgangherata: il più delle volte per poterla muovere, data la tua cronica penuria di denaro, dovevi dividere la benzina con gli amici. Ne hai messa un po’ e sei partito. Guidavi rapido. Dosso: hai premuto ancora di più sull’acceleratore. Ma non vedevi, nascosta dal dosso, una lunga fila di macchine. Troppo veloce per non fare filotto. Terrore. Hai sterzato e ti sei imbucato nell’altra corsia. Ti sei arrestato a tanto così da un signore con uno scooter. In macchina silenzio funereo. Ma eravate salvi.”
Monsieur, vous voulez encore les cacahuètes?”
No madame, merci.”
Cazzo, il cellulare!
“Salve signore: è lei che ha la macchina chiusa con le chiavi dentro?”
“Sì, sono io”.
“Bene. O meglio, male. Lei ha due sole possibilità.”
“Me le dica pure: sono pronto!”

venerdì 1 marzo 2019

43. Sui contrattempi che ti fanno sentire sfigato come la morte (prima parte)



All’aeroporto di Charleroi alle quattro di un pomeriggio di febbraio che profumava già di primavera, avevo appena mollato sorella e nipoti in partenza per l’Italia. Pregustavo di tornare a Bruxelles, riconsegnare a gare du Midi la macchina affittata e poi via, di stacco, verso casa, dove mi attendevano con il divano, anche Tokyo, Berlino e una nuova puntata della “Casa di carta”.
Ero felice.
Ma sarebbe durato poco: solo il tempo del viaggio.
Google Maps fisso su gare du Midi scelgo Kokoroko su Spotify per accompagnarmi fino alla stazione.
Il fine settimana con i parenti era andato bene. Quando arrivano dall’Italia, com’è normale che sia, rompono un pochino la mia routine, nel bene e nel male. Non che vengano spesso. Ma quando accade mi rendono ansioso: ansia da prestazione, direi. Voglio farmi vedere che sto bene. Altrimenti che son partito a fare?
Mi sembra ovvio.
Insomma, do il meglio di me. O quantomeno ci spero. Una volta decollati, ridivento me stesso. Routine inclusa.
Giunto alle cinque al deposito della stazione per il “checkout”, un asiatico gentile mi fa notare che il carburante non è proprio allo stesso livello.

Ok… lo so… lo so che stai per insultarmi: “Oh tonto! Non lo sai? Occorre restituirla allo stesso modo! Mai affittato una macchina?”

È vero: hai ragione!
Ma giuro che quando me l'avevano data non era completamente “full”. E quindi m'ero illuso fosse possibile riconsegnarla più o meno allo stesso livello, forse un poco meno (ops… non si fa… ma ci ho provato lo stesso.)
No, non è possibile. Gentilmente, ma fermo, l’asiatico mi rende edotto delle conseguenze: la paraculata mi sarebbe costata cento euro.
Cento euro?
Sì, cento euro.
Il tipo è irremovibile. Forse è il caso di essere io removibile e di chiuderla qua senza troppe storie.
Riesco dal parcheggio con un certo giramento di coglioni lasciandoci anche quattro euro e mezzo per dieci minuti di ingresso. Mi metto alla ricerca di un benzinaio nei paraggi e due minuti dopo, tombola!, un distributore della Shell sulla strada.
Esulto.
Avevo posticipato il tutto di poco: tanto il divano sarebbe stato ancora lì, come anche Tokyo e Berlino. Poco male.
Inserisco la carta di credito, apro lo sportellino del bocchettone carburante, acchiappo l'erogatore e comincio a rabboccare il serbatoio. Be’ a quindici euro e rotti spero: “da’ un po’un occhio e vedi a che punto sei arrivato!?” Con il tubo dell'erogatore ancora poggiato nel bocchettone vado ad aprire lo sportello della macchina e giro la chiave per accendere il quadro.
'Orca troia. Non è ancora “full!” Devo metterne dell’altra. Sto lì come un palo a riflettere su ‘sta seccatura quando la macchina, sfrenata, si sposta leggermente in avanti.
Cazzo!
Esco fuori di scatto ma non so come, me lo domando tuttora, schiaccio un pulsante sulla chiave: quello che blocca le porte.
Lì per lì non ci presto troppa attenzione. Ma mentre spingo lo sportello, chiudendolo, sento il click della chiusura centralizzata e il lampeggio secco e rapido delle quattro frecce. 

In quel momento realizzo che avevo chiuso la macchina con le chiavi inserite nel cruscotto.
Scusa?
Cioè?
Davvero?
Sì, è tutto vero!
Pa-ni-co!!
Rivedo il film di tutte le cazzate che ho fatto nel tempo.
E adesso?

Faccio il giro dell’auto provando ad aprire e riaprire ogni singolo sportello. Incluso il portabagagli.
Nulla.
Riprovo facendo il giro dal lato opposto. Hai visto mai?
Zero spaccato.
Ho ancora il tubo della benzina poggiato nel bocchettone e lo sguardo fisso nel vuoto, quando vedo un signore, dall'altro lato, che mi osserva incuriosito.