“Lei non ci crederà ma ho la macchina chiusa con le
chiavi dentro. Non mi domandi come ho fatto che non ne ho la più pallida idea” gli dico dopo essermi avvicinato a lui.
Si accosta all’auto, butta un occhio dentro e scuote la
testa come a dire “mai vista una cosa del genere!”
Condivido, cercando un po’ di conforto.
“E adesso?”, lo imploro.
“Ma è una macchina affittata?”, domanda lui sorpreso,
osservando la targa.
“Sì, perché?”
“Be’… se la deve portare a gare du Midi… io lavoro
all’agenzia “Paylesstomorrow”. Come
si chiama la sua?”
“Storm car
hire.”
“Ah… perfetto. Sono vicine. Posso passarci e dire
del suo problema. Se mi dà il numero di telefono…”
“Il mio?”
“Be’… certo…
così… così la faccio chiamare.” “Comunque…”, mi suggerisce, “forse converrebbe…
levare il tubo della benzina e spostare l’auto da qui in mezzo, che dice?; e
magari metterla in un posto che non dia fastidio, tipo là”, e mi indica uno
spazio accanto ad una vetrina che scopro poi essere un bar.
Riposiziono l’erogatore della benzina sulla
colonnina, spingiamo la macchina, gli lascio il numero e il tipo svanisce.
Passate da
poco le cinque. E il pomeriggio che profumava di primavera ora puzza d’inverno
pesto.
Decido di entrare al bar. La barista, attraente e
disinvolta, si mostra indaffarata; troppo indaffarata, anche in considerazione
del numero di clienti pari a uno.
Mi chiede cosa voglio.
Ho voglia di vino rosso.
Mostra orgogliosa una bottiglia lasciandomi
intendere che si tratti di una riserva, la apre e me ne fa assaggiare un sorso.
Le confermo che va bene. La scena mi sembra surreale: ho altro per la testa.
Mi siedo su un trespolo, guardo degli uomini che
armeggiano su dei flipper mentre la barista pigia su un telecomando per proiettare, su uno schermo impiccato sul soffitto, della musica in francese che parla d’amore.
Non ascolto
più: mi estranio.
“Metà maggio. Ultimi compiti in classe e ultime
interrogazioni. Ancora in bilico se essere rimandato o meno. Hai scelto di
giocare con la sorte. Sei entrato alla seconda ora. Ti sei fatto interrogare di
scienze. E poi sei uscito per evitare il compito di latino falsificando il
registro delle presenze. Ti hanno scoperto. Hanno deciso di farti ripetere la
terza.”
“Cacahuètes?”
“Monsieur, vous voulez les cacahuètes?”
“Monsieur?”
“Oh… oui,
merci!”
Sorseggio un po’ di vino rosso e prendo due arachidi
mentre i tizi continuano a chiedersi se il vetro sul flipper vada montato così
o cosà.
Smetto
nuovamente di ascoltare: mi assento.
“Novembre…”
“Ma quella cazzata non l’ho fatta io!”
“Ok. Piena estate. Macchina sgangherata: il più
delle volte per poterla muovere, data la tua cronica penuria di denaro, dovevi
dividere la benzina con gli amici. Ne hai messa un po’ e sei partito. Guidavi
rapido. Dosso: hai premuto ancora di più sull’acceleratore. Ma non vedevi, nascosta dal dosso, una lunga fila di macchine. Troppo
veloce per non fare filotto. Terrore. Hai sterzato e ti sei imbucato nell’altra corsia. Ti sei arrestato a tanto così da un signore con uno scooter.
In macchina silenzio funereo. Ma eravate
salvi.”
“Monsieur, vous voulez encore les cacahuètes?”
“No madame, merci.”
Cazzo, il cellulare!
“Salve signore: è lei che ha la macchina chiusa con
le chiavi dentro?”
“Sì, sono io”.
“Bene. O meglio, male. Lei ha due sole possibilità.”
“Me le dica pure: sono pronto!”
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