venerdì 25 gennaio 2019

48. La pescatrice di vetro



Stephanie Bourtembourg ha quasi 70 anni e sta per andare in pensione. È socia di uno dei più importanti studi legali di Bruxelles con oltre 200 avvocati che ci lavorano. Gli appalti pubblici con i loro vincoli giuridici sono una manna: forniscono una quantità sufficiente di cause per rendere pingui un buon numero degli avvocati dello studio. I soci insistono da molto tempo affinché lasci ma lei resiste nonostante l’età; o forse, a causa dell’età.
Porta a casa, si fa per dire, visto che a casa ci sta poco, 100mila euro al mese. Sì, 100mila! Una cifra che la maggior parte della popolazione di una regione anche ricca, come Bruxelles, raggranella dopo un botto di anni di lavoro.

Un paio di matrimoni falliti alle spalle ed eredi già su con gli anni che passano spesso a farle visita. 
Giusto per non farle mancare l’affetto che, presto, troveranno trasformato in patrimonio.

La giornata per l’avvocato Bourtembourg era stata di una noia sopportabile. Gran parte del lavoro veniva ormai svolto dai suoi collaboratori e, a lei, non restava altro che annotare alcuni appunti a matita che i suoi assistenti facevano finta di prendere in considerazione.
Erano le sette di sera e dopo aver tirato fuori dal cassetto del suo scrittoio “Bureau-platun Barolo Riserva e averne sorseggiato un calice aveva deciso che stasera poteva tornare a casa un po’ prima del solito.
Fece chiamare l’autista e appena il tempo della strada ed era già arrivata a square du Val de la Cambre. Si ricordò che il giovedì la servitù aveva la serata libera e perciò avrebbe dovuto scaldarsi il cibo da sola. Non ne aveva molta voglia: poteva saltare anche la cena. Come d’altra parte faceva solitamente ogni giovedì. 
Aveva ordinato alla servitù di gettare via tutte le bottiglie e non l'aveva eseguito: che seccatura, si spazientì! Non voleva conservarle ancora in casa visto che domani sarebbero passati i figli per il consueto saluto e vedendone il cospicuo numero l’avrebbero nuovamente rimproverata. Raccolse quante più bottiglie vuote e scese in strada dirigendosi verso la campana di vetro.
Qualche minuto prima e qualche via più distante, ma al comune di Forest, Lydia aveva appena terminato di litigare con Thierry su chi dovesse andare a pescare. Dopo qualche anno in uno squat avevano deciso di affittare uno studio e non era facile mettere insieme gli euro sufficienti per pagare regolarmente il canone. Un po’ di chômage, qualche lavoretto qua e là e si cercava di ammucchiare il necessario.

Poi servivano gli euro per cibo e vizi.
E spesso occorreva andare a pesca.

Lydia prese un lungo bastone e facendosi aiutare da Thierry ci fissò su un gancio. Uscì di casa e cominciò a girare in bicicletta alla ricerca di un po’ di campane del vetro accompagnata da "Belgium is burning".
Prese avenue de la Folle Chanson, voltò a destra verso avenue Emile Duray quando all’altezza di square du Val de la Cambre vide una signora anziana. Aveva alcuni contenitori per vetro e si recava all’angolo della strada dove c’era una campana. Lydia rallentò, nascose il bastone e attese che la vecchia terminasse di gettare via le bottiglie. Non appena questa rientrò, si avvicinò alla campana, tirò fuori il lungo bastone con il gancio, lo infilò giù in fondo e uncinò la prima bottiglia. Stava per metterla nel cestello quando del vino rosso ancora dentro le sgocciolò. Merda!, imprecò.


S’era inzuppata i pantaloni ed era ancora al primo giro. 
Alzò lo sguardo e vide questo adesivo. Fece una pausa, un sorriso, si asciugò le lacrime e agganciò una nuova bottiglia ancora.



venerdì 18 gennaio 2019

49. La lingua dell'orgasmo




Esiste una lingua franca dell'orgasmo?
So per esperienza che la lingua franca degli affari è l'inglese. So anche, per sentito dire, che quella della diplomazia è il francese.
Ma qual è quella dell'amplesso sessuale?
Ho sempre pensato che la lingua dell'amore fosse quella parlata dal partner di cui si è innamorati. E quella dei litigi?
Conosco una decina di coppie italo-qualcosa qui a Bruxelles. Se li sollecito sull'argomento rispondono che dipende dalla profondità della baruffa; anche se alla fine, il più delle volte, ciascuno litiga con la propria di lingua.
Che caos!
Va da sé che mi guardo bene dall'interrogare i miei amici sull'idioma utilizzato in camera da letto giacché mi sembrerebbe un comportamento, come dire, da impiccione.

La curiosità resta comunque insoddisfatta: in che lingua gode una coppia italo-qualcosa?

Non vedevo Anita da tempo e l'occasione era l'annuale evento del primo maggio a Place Rouppe dove i sindacati organizzano la consueta Festa dei lavoratori. Dopo una mattinata di pioggia fina fina il cielo sembrava aprirsi lasciandoci sperare in un pomeriggio di musica e birrette con gli amici.
Anita Bellotti è una cara amica; "cara" è forse un tantino esagerato. Ma amica sì, di sicuro. È sempre carica come una molla: i-n-s-t-a-n-c-a-b-i-l-e. Senza droghe, in più!
Alta e longilinea, scura di capelli - anche se qualche raro capello bianco aveva già cominciato a comparire - con un taglio corto, bocca e bacino larghi. 

Con Anita si fa festa e si fa tardi. In parte a causa del fatto che è difficile spegnerla ma anche perché, essendo lei in una "relazione aperta" da "illo tempore", non sempre desidera tornare a casa sapendo di trovarla costantemente vuota. Talvolta sì, e lì viene il divertimento.

A Bruxelles da oltre dieci anni, c'era arrivata seguendo più le piste dell'amore che quelle della professione. Umbra, di vicino Perugia, durante l'Erasmus aveva conosciuto Wim, un fiammingo di Gent, e una volta terminati gli studi aveva deciso di seguirlo. La cosa era finita dopo qualche mese: tra un lavoretto e una relazione aperta (dopo il primo fiammingo c'erano stati in un ordine variamente casuale un nuovo fiammingo, un belga di origine algerina, un altro fiammingo ancora, uno spagnolo, un tizio francofono di Charleroi) il tempo stava trascorrendo in modo, apparentemente, pigro.
Rokia Traore aveva appena concluso di eseguire il secondo bis e la folla cominciava a defluire. Noi imboccammo Rue du Midi verso la Grand Place quando Anita mi prese sottobraccio raccontandomi che la notte prima aveva conosciuto in un bar del centro, il Bonnefooi, tale Bharam Norgay.
"Bharam?", le chiesi.
"Sì, un nepalese di Katmandu. Sfizioso, vero?!" fece l'occhiolino. Fa sempre fico raccontare di aver incontrato un tipo che arriva dal Nepal, pensai.
"E che cazzo ci faceva un nepalese di Katmandu al Bonnefooi?"
"Studia qui in Belgio: una cosa tipo ingegneria dei microsistemi, così mi è sembrato di capire".
"Sai che palle!", esclamai.
"Sì... due palle... chiacchiere tutte in inglese. Mancava poco mi sparassi! Anche se chiacchierare non era proprio tra gli obiettivi primari di nessuno dei due", mi lasciò intuire.
 "Intuisco", risposi.
"Come previsto, alla fine siamo finiti a casa mia per concludere in bellezza".
"Be’… cos'è questo sguardo allora?", domandai curioso.

"Dopo tutti questi anni qui a Bruxelles vorrei finalmente scopare e godere nella mia, di lingua. Sarebbe tutto ancora più divertente!"

Esigenza legittima, no? Se la lingua dell’amore è quella dell’altro, pare che quella delle baruffe e dell’orgasmo sia davvero la propria. Me lo confermi anche tu?

venerdì 11 gennaio 2019

50. Italiani a Bruxelles e italiani di Bruxelles: quando le preposizioni condizionano la tua vita




Come molti italiani a Bruxelles anche io sono "sceso" in Italia dove il tempo di tirare via il giaccone ed ero diventato uno dei tanti italiani di Bruxelles. Queste due preposizioni apparentemente innocue hanno, al contrario, capacità di illustrare al volo la doppia condizione esistenziale, spesso inconsapevole, in cui si trovano molti di noi. Se la prima ci caratterizza come immigrati, la seconda ci definisce come emigrati.

In mezzo ci sono i voli ryanair (a prezzi spesso stracciati e 'sti cazzi la vendita delle "scratchcard" quando prendi l’"aereo-pigiama" delle sette del mattino e vorresti dormire), gli skype (che fanno tanto anni 2000), i vocali di whatsapp (e il controllo delle spunte blu) e i messenger di facebook (ha visualizzato!) con chi è rimasto. 
Di qua e di là delle due preposizioni.

Quando si scende si è normalmente divisi fra impicci familiari e impazienza di incontrare gli amici. Quelli di sempre. E quelli che a mano a mano che torni ti vai facendo. Che poi uno quando torna si mette spesso a misurare la strada fatta e chi meglio di un vecchio amico sul quale hai, arbitrariamente, situato il tuo kilometro zero può aiutarti a misurare il percorso compiuto?
L’appuntamento era per le otto e mezza in un ristorante sulle colline. Con il piacere immutato di rivedersi, le chiacchiere rifluirono dal punto in cui si erano interrotte l’ultima volta.
Ad una certa realizzai che i ristoranti italiani in Italia hanno un sottofondo musicale differente da quelli a Bruxelles. Ricordai di una sera entrato a prenotare al "Racines" ove ci accolse una delle canzoni più note di Franco Califano. Pensai, ancora, al diverso utilizzo che si fa dell’italiano di qua e di là delle preposizioni. L'italiano dell’Italia è come un pesce che nuota nel suo mare: è un mare ricco! Già molto diverso dall'italiano in uso fra emigrati che è più semplificato. C’è poi l'italiano parlato fra corregionali: qui esso non solo si circoscrive ma si raccoglie intimizzandosi: una specie di cura dell'anima.

Infine, c'è l'italiano del “made in Italy”. 
Ed è qui che t’imbatti in “Tutto il resto è noia”, nella locandina de “La ciociara” o in una stampa di Mastroianni che espira, seducente, una nuvola di fumo. È l’Italia del "gran tour", dell’"Italians do it better". 
Della lira.

Le chiacchiere andavano avanti tra un argomento e un "ti ricordi quella volta che…" quando un silenzio momentaneo fu l’occasione per chiedere:
"vediamo se indovino cosa avete votato?"
Avevo imparato ad evitare la politica: poteva essere argomento di battibecchi e i politici, si sa, passano. Gli amici anche, ma meno rapidamente.
Intuivo le loro posizioni.
"Tu, Salvini", puntando lo sguardo su Carlo.
"E tu invece 5 stelle", voltandomi verso Ale.
Annuirono.
"Be’… meglio i 5 stelle… almeno con loro possiamo avere un po’ di speranza", replicò subito Ale.
"Che poi", aggiunse rapido, "fare peggio del bordello che hanno fatto quelli prima lo vedo difficile!"
"Anche 'st’Europa…", proseguì, "tu che sei di Bruxelles lo sai bene! Comandano in due. Fosse per me? Uscirei anche dall’Euro!"
Sembrava avesse concluso quando guardandosi attorno e abbassando il tono confessò: "boh… alla fine quei due risparmi che ho messo da parte me li cambio in dollari prima dell’arrivo della lira. Almeno sono sicuro".

La lira, Califano, Mastroianni e la Loren: quando il futuro carico di speranza divorava l’Italia contadina.