venerdì 11 gennaio 2019

50. Italiani a Bruxelles e italiani di Bruxelles: quando le preposizioni condizionano la tua vita




Come molti italiani a Bruxelles anche io sono "sceso" in Italia dove il tempo di tirare via il giaccone ed ero diventato uno dei tanti italiani di Bruxelles. Queste due preposizioni apparentemente innocue hanno, al contrario, capacità di illustrare al volo la doppia condizione esistenziale, spesso inconsapevole, in cui si trovano molti di noi. Se la prima ci caratterizza come immigrati, la seconda ci definisce come emigrati.

In mezzo ci sono i voli ryanair (a prezzi spesso stracciati e 'sti cazzi la vendita delle "scratchcard" quando prendi l’"aereo-pigiama" delle sette del mattino e vorresti dormire), gli skype (che fanno tanto anni 2000), i vocali di whatsapp (e il controllo delle spunte blu) e i messenger di facebook (ha visualizzato!) con chi è rimasto. 
Di qua e di là delle due preposizioni.

Quando si scende si è normalmente divisi fra impicci familiari e impazienza di incontrare gli amici. Quelli di sempre. E quelli che a mano a mano che torni ti vai facendo. Che poi uno quando torna si mette spesso a misurare la strada fatta e chi meglio di un vecchio amico sul quale hai, arbitrariamente, situato il tuo kilometro zero può aiutarti a misurare il percorso compiuto?
L’appuntamento era per le otto e mezza in un ristorante sulle colline. Con il piacere immutato di rivedersi, le chiacchiere rifluirono dal punto in cui si erano interrotte l’ultima volta.
Ad una certa realizzai che i ristoranti italiani in Italia hanno un sottofondo musicale differente da quelli a Bruxelles. Ricordai di una sera entrato a prenotare al "Racines" ove ci accolse una delle canzoni più note di Franco Califano. Pensai, ancora, al diverso utilizzo che si fa dell’italiano di qua e di là delle preposizioni. L'italiano dell’Italia è come un pesce che nuota nel suo mare: è un mare ricco! Già molto diverso dall'italiano in uso fra emigrati che è più semplificato. C’è poi l'italiano parlato fra corregionali: qui esso non solo si circoscrive ma si raccoglie intimizzandosi: una specie di cura dell'anima.

Infine, c'è l'italiano del “made in Italy”. 
Ed è qui che t’imbatti in “Tutto il resto è noia”, nella locandina de “La ciociara” o in una stampa di Mastroianni che espira, seducente, una nuvola di fumo. È l’Italia del "gran tour", dell’"Italians do it better". 
Della lira.

Le chiacchiere andavano avanti tra un argomento e un "ti ricordi quella volta che…" quando un silenzio momentaneo fu l’occasione per chiedere:
"vediamo se indovino cosa avete votato?"
Avevo imparato ad evitare la politica: poteva essere argomento di battibecchi e i politici, si sa, passano. Gli amici anche, ma meno rapidamente.
Intuivo le loro posizioni.
"Tu, Salvini", puntando lo sguardo su Carlo.
"E tu invece 5 stelle", voltandomi verso Ale.
Annuirono.
"Be’… meglio i 5 stelle… almeno con loro possiamo avere un po’ di speranza", replicò subito Ale.
"Che poi", aggiunse rapido, "fare peggio del bordello che hanno fatto quelli prima lo vedo difficile!"
"Anche 'st’Europa…", proseguì, "tu che sei di Bruxelles lo sai bene! Comandano in due. Fosse per me? Uscirei anche dall’Euro!"
Sembrava avesse concluso quando guardandosi attorno e abbassando il tono confessò: "boh… alla fine quei due risparmi che ho messo da parte me li cambio in dollari prima dell’arrivo della lira. Almeno sono sicuro".

La lira, Califano, Mastroianni e la Loren: quando il futuro carico di speranza divorava l’Italia contadina.

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