Come molti italiani a Bruxelles anche io sono "sceso" in Italia dove il tempo di tirare via il giaccone ed ero diventato uno
dei tanti italiani di Bruxelles. Queste due preposizioni apparentemente innocue
hanno, al contrario, capacità di illustrare al volo la doppia condizione
esistenziale, spesso inconsapevole, in cui si trovano molti di noi. Se la prima
ci caratterizza come immigrati, la seconda ci definisce come emigrati.
In mezzo ci sono i voli ryanair (a prezzi spesso stracciati e 'sti cazzi la vendita delle "scratchcard" quando prendi l’"aereo-pigiama" delle sette del mattino e vorresti dormire), gli skype (che fanno tanto anni 2000), i vocali di whatsapp (e il controllo delle spunte blu) e i messenger di facebook (ha visualizzato!) con chi è rimasto.
Di qua e di là delle due preposizioni.
Quando si scende si è normalmente divisi fra
impicci familiari e impazienza di incontrare gli amici. Quelli di sempre. E
quelli che a mano a mano che torni ti vai facendo. Che poi uno quando torna si
mette spesso a misurare la strada fatta e chi meglio di un vecchio amico sul
quale hai, arbitrariamente, situato il tuo kilometro zero può aiutarti a misurare
il percorso compiuto?
L’appuntamento era per le otto e mezza in un
ristorante sulle colline. Con il piacere immutato di rivedersi, le chiacchiere
rifluirono dal punto in cui si erano interrotte l’ultima volta.
Ad una certa realizzai che i ristoranti italiani
in Italia hanno un sottofondo musicale differente da quelli a Bruxelles.
Ricordai di una sera entrato a prenotare al "Racines" ove ci accolse una delle
canzoni più note di Franco Califano. Pensai, ancora, al diverso utilizzo che si
fa dell’italiano di qua e di là delle preposizioni. L'italiano dell’Italia è
come un pesce che nuota nel suo mare: è un mare ricco! Già molto diverso dall'italiano in uso fra emigrati che è più semplificato. C’è poi l'italiano parlato fra corregionali: qui esso non solo si circoscrive ma si raccoglie intimizzandosi: una
specie di cura dell'anima.
Infine, c'è l'italiano del “made in Italy”.
Ed è
qui che t’imbatti in “Tutto il resto è noia”, nella locandina de “La ciociara” o in
una stampa di Mastroianni che espira, seducente, una nuvola di fumo. È
l’Italia del "gran tour", dell’"Italians do it better".
Della lira.
Le chiacchiere andavano avanti tra un argomento e
un "ti ricordi quella volta che…" quando un silenzio momentaneo fu l’occasione
per chiedere:
"vediamo se indovino cosa avete votato?"
Avevo imparato ad evitare la politica: poteva
essere argomento di battibecchi e i politici, si sa, passano. Gli amici anche,
ma meno rapidamente.
Intuivo le loro posizioni.
"Tu, Salvini", puntando lo sguardo su Carlo.
"E tu invece 5 stelle", voltandomi verso Ale.
Annuirono.
"Be’… meglio i 5 stelle… almeno con loro possiamo
avere un po’ di speranza", replicò subito Ale.
"Che poi", aggiunse rapido, "fare peggio del
bordello che hanno fatto quelli prima lo vedo difficile!"
"Anche 'st’Europa…", proseguì, "tu che sei di
Bruxelles lo sai bene! Comandano in due. Fosse per me? Uscirei anche
dall’Euro!"
Sembrava avesse concluso quando guardandosi attorno e abbassando il tono confessò: "boh…
alla fine quei due risparmi che ho messo da parte me li cambio in dollari prima
dell’arrivo della lira. Almeno sono sicuro".
La lira, Califano,
Mastroianni e la Loren: quando il futuro carico di speranza divorava l’Italia
contadina.
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