venerdì 23 agosto 2019

18. Un biglietto di sola andata





Trentacinque anni compiuti da due mesi e di un lavoro come Cristo comanda non ne aveva più memoria non so da quanto. Sua madre continuava insistentemente a chiederle quando le avrebbe dato un nipotino e lei all’inizio le rispondeva “Ma’, ma di che nipotino stiamo parlando che non ho nemmeno uno straccio di ragazzo!”.

Ora aveva anche smesso di risponderle.

Un piccolo neo a metà del naso corto e gentile, un puntino a mezz’aria messo lì a testimoniare e a ricordarle tutti i santi giorni il carattere sospeso della sua vita e gli occhi gatteschi tristi come quelli di Querida, la gatta che le faceva compagnia da anni, ora malata. La frangia nera nera arrivava a coprirle le sopracciglia ordinate mentre la piccola macchia scura a forma di Iris capovolto sulla gamba destra sembrava ora anche più grande, procurandole qualche imbarazzo quando accavallava le gambe bianche.
Conclusa l’Accademia s’era impantanata con lavoretti fatti per racimolare qualche soldo per birre e sigarette giacché insieme ad altri aveva squattato un vecchio edificio fuori uso poco lontano dal centro della città.
Ma dalla fine dell’Accademia erano passati quasi dieci anni e all’orizzonte non solo non c’erano un ragazzo con cui vivere e il nipotino che mamma desiderava, ma neanche un fottuto lavoro con cui pagare ora l’affitto mensile.

Una vita di cacca, pensava.

L’unica consolazione erano quei duecento euro che le erano rimasti da una parte guadagnati alla bell’e meglio affittando su  Airbnb il mini appartamento dove viveva costringendola a farsi ospitare per una settimana da Maddi, la sua amica di sempre.
Sai che culo, duecento euro! E tra una decina di giorni toccava pure sborsare nuovamente i soldi per l’affitto.
Prese la piccola macchina a metano e si fermò al primo bar e si fece alcune birre fumando una sigaretta dietro l’altra. Voglia di tornarsene a cuccia zero e l’alcool inoltre aveva cominciato a fare il suo piacevole effetto. Riprese la macchina facendo alcuni giri a vuoto indecisa e, come sempre, alla fine piombò sul solito bar lì lì che stava per tirare giù le saracinesche. Il barista non le dispiaceva affatto ma aveva presto intuito che non c’era storia. Troppo giovane.

Cazzo, non voleva rimorchiare cosi, a matto.

I ragazzi non le erano mai mancati. E volendo bastava che si fosse piantata un po’ lì davanti al bancone e se non fosse stato stasera sarebbe stato domani.
Ma per cosa?
Una scopata? Anche no, scosse la testa.
Dopo aver ordinato una vodka secca si accovacciò su uno sgabello all’esterno a rollarsi del tabacco. Un tipo intanto le s’era avvicinato chiedendole se avesse da accendere. Cacciò l’accendino dalla tasca e glielo diede facendogli capire di non tirarla molto per le lunghe.
Scolò subito il bicchiere e si alzò per andare a chiederne un’altra.
“Me ne fai un’altra, per favore?” e aggiunse perentoria “doppia!”.
Tre minuti dopo era già in macchina verso casa. Girò le chiavi sulla toppa e si voltò allarmata là dove lei era sempre accucciata. Non dava segni di vita. Si mise a piangere mentre il dolore per la morte di Querida le veniva su direttamente dallo stomaco.
Accese il PC e finalmente decise: un biglietto di sola andata per Pamplona.

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