venerdì 11 ottobre 2019

11. Melicious: un angolo di Italia contemporanea a Bruxelles





Non vado spesso per ristoranti italiani a Bruxelles.
Per tante ragioni.
Boh, tanto per cominciare se desidero il cibo italiano me le faccio a casa. E poi tornando in Italia con una certa regolarità posso approfittare della gastronomia del “bel paese” mentre sono giù.
E ancora, come mi ha raccontato una volta un cuoco che lavorava in un ristorante italiano qui in Belgio, quanto la cucina italiana, analogamente a tutte le altre, venga sovente reinterpretata tenendo conto dei gusti del posto e quindi per esempio, lui, sulla carbonara l’uovo lo metteva alla fine, crudo.

E tanti saluti alla ricetta della nonna.

In realtà non vado tanto per ristoranti punto e basta. E quando accade è perché magari ho la curiosità di scoprire un ambiente nuovo, dei cibi mai assaggiati o semplicemente mi si propone una serata conviviale con alcuni amici che non vedo da tempo. Altrimenti sto a casa. E buona lì!
D’altro canto, se uno si ferma a rifletterci qualche secondo, la storia di andare a mangiare fuori non è che sia cominciata da secoli, almeno per quanti non fossero membri del cosiddetto jet-set. Tutti gli altri il ristorante potevano scordarselo o tutt’al più lo vedevano dalle cucine. Ma poi è arrivato il boom economico e oltre alla macchina da acquistare a rate, sono arrivate assieme le ferie agostane e le cene al ristorante.
Insomma, la settimana scorsa ero solo e un amico cuoco, dopo aver lavorato anni in diecimila posti tra trattorie, osterie, tavole calde e via elencando qui a Bruxelles, mi aveva chiesto se potevo passare a trovarlo e vedere come s’era piazzato.

Perché no?

Ho attraversato mezza città e sono approdato a Woluwe-Saint-Pierre al Melicious. Il locale è piccolo (una ventina di coperti nella sala principale e altrettanti in quella dietro che dà sul giardino) e piuttosto spoglio. Alle pareti una riproduzione più da pub che da ristorante italiano. E la cosa, lo confesso, mi ha fatto un gran piacere: finalmente non c’è la solita locandina di “vacanze romane” sui muri!
La cameriera, Maria, elenca, leggendo su un taccuino volante (scusandosi per la precarietà della cosa ma hanno appena aperto e il menù sarà pronto a breve) i piatti della sera e chiede cosa io desideri. Lei, comunque, mi suggerisce delle lasagne che, ripete, sono il piatto forte dello chef.
Accetto. E chiedo pure un bicchiere di vino rosso.
Non sono un gran gourmet e non pubblico su Instagram o Facebook foto di cibi e vini come fanno in molti: in breve non appartengo alla food porn community. Le lasagne mi sembrano buone con la parte superiore leggermente croccante; con un sugo di pesce che non avevo mai mangiato. Il mio amico cuoco mi prende da un lato e, inorridito, mi confessa all’orecchio come in altri ristoranti italiani sia capitato che diano delle lasagne del Delhaize, quelle da due euro e mezzo e poi una volta scaldate ci si metta sopra un po’ di pomodoro, e via come se fossero state fatte a mano.

No, lui no.

Ci mette tutta l’anima ai fornelli e fa un gesto di orrore ripensando alla confezione del Delhaize prima di recarsi nuovamente in cucina.
Rifaccio un altro sorso di vino. E mi riguardo attorno e rivedo che alle pareti non ci sono Sofia Loren, Totò e Alberto Sordi intenti a gustarsi degli spaghetti. E manca anche Franco Califano che suona amaro “tutto il resto è noia”.
Mi rallegra vedere un angolo di Italia contemporanea dove una cameriera ventenne originaria di Cosenza, salutati gli ultimi clienti, ascolta Fred de Palma insieme ad Ana Mena, Ghali e Sfera Ebbasta, mentre apparecchia daccapo per il servizio del giorno successivo.



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