venerdì 25 ottobre 2019

9. La Prima e la Seconda





“Lu’, ti devo parlare. Ci possiamo vedere questa sera a casa mia?”
“Certo! A che ora facciamo?”
Lucia e Laura le conoscono tutti a Bruxelles o, per essere più precisi, tutti sanno che sono due gemelle pressoché identiche che lavorano nelle istituzioni o, più precisamente, al Consiglio; che delle istituzioni è da tutti considerata la più potente.

Il potere lo si coglieva in tutta la sua presenza in Lucia mentre la sua assenza veniva silenziosamente taciuta in Laura.

Le loro erano state due vite che si erano sempre mosse in parallelo ma con Lucia leggermente in avanti sulla linea del tempo. Delle due, infatti, lei era stata la prima a nascere e da allora ciò aveva condizionato i successivi avvenimenti delle loro esistenze a partire dal modo stesso in cui venivano affettuosamente chiamate dalla madre: Lucia era la “Prima” e Laura la “Seconda”.

Nel corso del tempo tale fatto aveva determinato nella Seconda un costante ritardo nei suoi desideri e nei suoi bisogni.

Come accade in tante famiglie le due sorelle un po’ si emulavano ma poi, diversamente da come succede normalmente, non avevano cessato di farlo. Quanto faceva la Prima si realizzava a distanza di tempo (qualche volta dopo un po’ più di tempo e tal altra dopo un po’ meno) nella Seconda. Quasi che dopo un po’ per sapere che cosa stesse per accadere alla Seconda, diciamo tra anno, lo si potesse desumere con precisione quasi matematica osservando ora il comportamento della Prima.
Le due traiettorie esistenziali dunque procedevano parallele ma solo con un po’ di T a differenziarle; temporalmente asincrone, ma largamente prevedibili; almeno per la Seconda. Quando anni prima la Prima decise di fare un master di “Politiche pubbliche” a Parigi, la Seconda ci aveva impiegato qualche mese prima di optare per la medesima scelta convincendosi che sarebbe stato un bene anche per la sua carriera l’ulteriore ciclo di studi sulle rive della Senna.
La Prima, nel frattempo, aveva già programmato la prossima meta della propria vita professionale ed era così atterrata sul Palazzo Justus Lipsius a Bruxelles. Da qui di tanto in tanto sottolineava, tra una cosa ed un’altra, quanto fosse allettante la prospettiva di un incarico ben retribuito all’interno delle istituzioni.
“Dovresti iscriverti all’EPSO!” sussurrava la Prima tra una chiacchiera ed un messaggio alla Seconda, mentre quest’ultima in un pomeriggio di fine settembre, a Parigi, girando tra Rue Bonaparte, Rue du Vieux Colombier e approdando poi a Rue Férou si era interrogata sul perché trasferirsi a Bruxelles. Ma poi era andata a finire come era andata a finire ossia si era ritrovata a fare la funzionaria al Consiglio.
“Facciamo alle sette questa sera a casa mia. Ok?”
“Bene, bene. Ciao!”
Fece due giri dell’isolato alla ricerca di un parcheggio quando finalmente vide che una macchina aveva appena messo in moto mentre le frecce direzionali ne segnalavano l’immediata partenza. Attese qualche attimo e intanto pensò che cosa avesse da dirle Lucia tanto da invitarla a casa sua.
Parcheggiò e tirò fuori le chiavi dell’appartamento della gemella non senza aver prima dato al citofono due brevi squilli seguiti da uno lungo. Salì all’ultimo piano e vide la porta accostata in attesa del suo ingresso.
“Hai già cenato?” fece la Prima.
“No, non ancora”, rispose la Seconda levandosi il cappotto e gettandolo sul divano.
“Un piatto di pasta?” domandò la Prima prendendo il cappotto della Seconda per appoggiarlo sull’attaccapanni.
“Sì, ok per un piatto di pasta. Hai ancora il sugo di mamma?”
“Certo. Conservato per questa sera”, replicò la Prima andando verso la cucina per mettere su l’acqua della pasta e poi da lì gridò “hanno aperto una posizione alla Delegazione a Washington e mi sto informando su come fare per andarci”. E poi aggiunse tornando in sala con due calici  “non sarebbe male, vero?”

“No, non sarebbe male per niente. Davvero!” Ma poi Laura esclamò “Washington? Troppo lontano!” levandosi le scarpe e portando le gambe sul divano.

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