Faceva freddo e una leggera pioggia scendeva a bagnargli
il cappello calzato leggermente sulla testa. Prese l’accendino dalla tasca e si
accese una canna d’erba con un filo di tabacco dentro. Tirò una lunga soffiata
e voltò a destra come d’abitudine per la sua passeggiata serale. Qualche ora
prima aveva pagato l’affitto e fatta la spesa per tutta la settimana al Colruyt
e buttato gli ultimi dieci euro per comprarsi una bustina di erba. E poi, aveva
pensato, prossimamente si vedrà.
Cristo, quanto cazzo è brutto bestemmiare dietro ai
soldi che non ci sono, continuava a tormentarsi aspirando subito un’altra
boccata. Dicono che non facciano la felicità, dicono; ripeté nuovamente
scuotendo la testa. Ma questa è una cosa dei ricchi che ne hanno a sufficienza.
Per gli altri è differente.
Girò a sinistra automaticamente. Dopo
aver fatto l’ennesima prova come plongeur il proprietario, un tipo
grasso e quasi calvo, gli aveva detto: “Tony, mi dispiace, ma qui i clienti
sono pochi. Tu sei una brava persona. Ma non posso tenerti. Ecco i soldi di
questi giorni”.
Il fisico nonostante gli anni che andavano su era
rimasto allenato dai tanti pomeriggi trascorsi in palestra a dare di guantoni. Quella
avrebbe potuto essere una delle possibili svolte della sua vita. Ma non era
andata: ci si era messa l’università da finire, mai finita. Ed eccolo a Bruxelles
a cercare un lavoro da un ristorante ad un altro, mentre condivideva una stanza
in un edificio a due piani dove c’erano altre venti camere, venti persone e quattro
bagni; due per piano.
Se la situazione fosse continuata in questo modo, si
era detto, avrebbe mollato tutto e, ripresa la caparra dei due mesi, sarebbe ritornato
di nuovo in Italia sperando di trovare qualcosa. Vedremo, si disse, prendendo Rue
Gineste. Il tempo di cominciare a percorrerla ed un ragazzo gli si avvicinò
chiedendogli se avesse un accendino.
Frugò tra le tasche e un secondo più
tardi sentì la lama di un coltello puntata alla gola.
“Tira fuori tutto quello che hai lì dentro” gli ordinò
il tizio con la felpa con il cappuccio tirato su, indicando le tasche del
giubbotto.
“Non ho niente!”
“Dai, fai vedere. Non mi fare incazzare. Su!” lo
minacciò con la lunga lama del coltello.
Tony svuotò tutte le tasche ritrovando anche il
piccolo accendino rosso con cui si era acceso la canna poco prima aggiungendo “mi
hanno appena licenziato. Non ho un lavoro. Non ho soldi: gli ultimi ci ho
comprato questo” fece mostrando il cannone intanto spento.
“Non ci credo… comunque dammi il cellulare! Dov’è?” lo
incalzò e poi “dove cazzo è il cellulare?” gli urlo contro strattonandolo.
“Me l’hanno rubato la settimana scorsa”.
Il tipo con la felpa allora gli mise le mani tra le
palle per assicurarsi che non ci fosse nascosto nulla lì in mezzo e poi si abbassò
controllando attorno ai polpacci e scese giù giù fino alle scarpe per essere
sicuro che Tony non mentisse.
Questo era il momento buono, pensò Tony, per dargli
una ginocchiata sulla faccia. Una volta, mica secoli fa, l’avrebbe fatto e la
faccia di questo coglione si sarebbe coperta di sangue immediatamente e i denti
schizzati via e sparpagliati sul marciapiede.
Ma questo era una volta. Ora non più.
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