venerdì 1 novembre 2019

8. Hai da accendere, per favore?






Faceva freddo e una leggera pioggia scendeva a bagnargli il cappello calzato leggermente sulla testa. Prese l’accendino dalla tasca e si accese una canna d’erba con un filo di tabacco dentro. Tirò una lunga soffiata e voltò a destra come d’abitudine per la sua passeggiata serale. Qualche ora prima aveva pagato l’affitto e fatta la spesa per tutta la settimana al Colruyt e buttato gli ultimi dieci euro per comprarsi una bustina di erba. E poi, aveva pensato, prossimamente si vedrà.
Cristo, quanto cazzo è brutto bestemmiare dietro ai soldi che non ci sono, continuava a tormentarsi aspirando subito un’altra boccata. Dicono che non facciano la felicità, dicono; ripeté nuovamente scuotendo la testa. Ma questa è una cosa dei ricchi che ne hanno a sufficienza. Per gli altri è differente.

Girò a sinistra automaticamente. Dopo aver fatto l’ennesima prova come plongeur il proprietario, un tipo grasso e quasi calvo, gli aveva detto: “Tony, mi dispiace, ma qui i clienti sono pochi. Tu sei una brava persona. Ma non posso tenerti. Ecco i soldi di questi giorni”.

Il fisico nonostante gli anni che andavano su era rimasto allenato dai tanti pomeriggi trascorsi in palestra a dare di guantoni. Quella avrebbe potuto essere una delle possibili svolte della sua vita. Ma non era andata: ci si era messa l’università da finire, mai finita. Ed eccolo a Bruxelles a cercare un lavoro da un ristorante ad un altro, mentre condivideva una stanza in un edificio a due piani dove c’erano altre venti camere, venti persone e quattro bagni; due per piano.
Se la situazione fosse continuata in questo modo, si era detto, avrebbe mollato tutto e, ripresa la caparra dei due mesi, sarebbe ritornato di nuovo in Italia sperando di trovare qualcosa. Vedremo, si disse, prendendo Rue Gineste. Il tempo di cominciare a percorrerla ed un ragazzo gli si avvicinò chiedendogli se avesse un accendino.

Frugò tra le tasche e un secondo più tardi sentì la lama di un coltello puntata alla gola.

“Tira fuori tutto quello che hai lì dentro” gli ordinò il tizio con la felpa con il cappuccio tirato su, indicando le tasche del giubbotto.
“Non ho niente!”
“Dai, fai vedere. Non mi fare incazzare. Su!” lo minacciò con la lunga lama del coltello.
Tony svuotò tutte le tasche ritrovando anche il piccolo accendino rosso con cui si era acceso la canna poco prima aggiungendo “mi hanno appena licenziato. Non ho un lavoro. Non ho soldi: gli ultimi ci ho comprato questo” fece mostrando il cannone intanto spento.
“Non ci credo… comunque dammi il cellulare! Dov’è?” lo incalzò e poi “dove cazzo è il cellulare?” gli urlo contro strattonandolo.
“Me l’hanno rubato la settimana scorsa”.
Il tipo con la felpa allora gli mise le mani tra le palle per assicurarsi che non ci fosse nascosto nulla lì in mezzo e poi si abbassò controllando attorno ai polpacci e scese giù giù fino alle scarpe per essere sicuro che Tony non mentisse.
Questo era il momento buono, pensò Tony, per dargli una ginocchiata sulla faccia. Una volta, mica secoli fa, l’avrebbe fatto e la faccia di questo coglione si sarebbe coperta di sangue immediatamente e i denti schizzati via e sparpagliati sul marciapiede.

Ma questo era una volta. Ora non più.


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