venerdì 5 luglio 2019

25. Le prime rose d'estate





La signora Lisa Gherardini era una funzionaria della DG EAC e viveva a Bruxelles da una decina d’anni. Il marito, o meglio il secondo marito, giacché dal primo si separò presto non appena rimase incinta della prima figlia, lavorava alla NATO.
Non era felice e non faceva nulla per nasconderlo.
Cercava solo di rendere la sua condizione e di quanti le stavano accanto più o meno sopportabile.

Senza finzioni.

Il carattere brusco e l’affetto scostante verso le figlie le avevano procurato dei pettegolezzi tra i corridoi degli uffici durante la settimana e sgradevoli ciance nei parchi nel corso del week-end.
Molte erano le cause dietro le sue nevrosi e di alcune ne era venuta a capo grazie al lavoro fatto con Véronique, la sua analista junghiana.
Ogni martedì pomeriggio alle sei Lisa Gherardini infatti si recava in avenue de Fré, dove trascorreva un’ora con la dottoressa Véronique De Smet per la seduta settimanale. La cosa si protraeva da qualche anno e lei si sentiva ormai pronta per recidere i fili che la legavano a questa consuetudine.
La mattina ancora addormentata mentre sorseggiava un caffè bollente fumandosi una sigaretta aveva anche pensato come congedarsi con Véronique dopo tutto questo tempo. E rifletteva sul fatto se ne fosse stata davvero capace.
La soluzione più semplice sarebbe stata chiamarla al telefono e dirglielo lì, così, al volo.

Senza pensarci troppo.

Cercò il numero sull’elenco e dopo averlo trovato lo digitò sul suo cellulare.
Ma riattaccò. E rimandò all’incontro di più tardi.
“Ne sarò all’altezza?”, si ridisse accendendo il motore dell’auto prima di uscire dal parcheggio e recarsi in ufficio.
La giornata in ufficio intanto si spegneva triste tra una scartoffia ed un’altra. La mansione per cui era stata assunta non le aveva mai richiesto grandi sforzi cognitivi.

E Lisa aveva trovato scomodamente riparo tra i suoi fantasmi.

Anni di terapia, si domandava, sono serviti a qualcosa?
Perché proseguire, chiese al marito la sera precedente a cena dopo che lui aveva messo a dormire le figlie.
“Mi sembra ti faccia bene” le rispose telegraficamente. “Ne abbiamo parlato tante volte Lisa e capisco la tua stanchezza. Che talvolta il tutto ti sembri inutile e frustrante, posso comprenderlo”.
“Ma dovresti andare avanti”, concluse addolcendo il tono della voce. Annuì e involontariamente aggrottò le sopracciglia. E per la prima volta si rendeva conto che probabilmente avrebbe fatto di testa propria.
Uscì dall’ufficio e prese meccanicamente la via in direzione dello studio di Véronique. Suonò il citofono e poi una volta dentro l’atrio chiamò l’ascensore. Un’ora dopo era lì confusa sul pianerottolo davanti alla porta socchiusa dello studio.

“Allora hai veramente deciso?”, la sollecitò di nuovo Véronique.

“Sì, forse è il momento. Non sono sicura sia la scelta giusta. Ma sento che bisogna farlo oggi” rispose esitante.
Un abbraccio caldo e liberatorio unì le due donne. Salutò e se ne andò senza voltarsi.
Scese le scale due alla volta con i pensieri rivolti ancora a quella porta che chiudeva titubante.
Non occorre essere Sibylle per avere un padre del cazzo, pensò. Attraversò la strada ed entrò in un negozio dove ordinò un mazzo di fiori.

Erano le prime rose d’estate.

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