Le
settimane erano volate e inevitabilmente era arrivato anche il 6 maggio e come
m’ero ripromesso, infatti, per questa data avrei anche io
provato ad evitare di pagare il supplemento per il secondo bagaglio con
Ryanair.
Avevo
trascorso in Italia la Pasqua e il 25 aprile e temporeggiato ancora qualche
giorno dal momento che un amico di Bruxelles si sarebbe sposato di lì
a poco. Ma ‘sta cosa del secondo bagaglio stava ancora lì appesa e, d’altra
parte, quando acquistai il biglietto aereo avevo volutamente tralasciato di
comperare anche il secondo bagaglio: ero pronto quasi a tutto.
Il volo era programmato per
le 18.30 e dunque avevo tutto il tempo per fare le cose che vanno fatte prima
di partire: uno pensa sempre di avere del tempo e perciò rimanda; finché, giunto il momento
della partenza, si scopre l’insufficienza del tempo a disposizione. Ma questa è
un’altra storia.
Arrivato
in aeroporto passo il controllo di sicurezza e tira via il computer, tira via
le chiavi, tira via la sciarpa. Perché suona
ancora? Tira via la cintura. Suona ancora. Tira via le scarpe. Sono pronto per
attendere con santa pazienza il momento dell’imbarco e quando arriva l’ultima
chiamata per Charleroi mi alzo e mi avvicino al banco. Rispetto all’ultima volta
non c’è purtroppo il mio amico. C’è invece una coppia di tipe. Ogni tanto
vengono a raccattare qua e là i passeggeri dispersi fra toilette e bar urlando “Charleroi?
Charleroi?”. Ed eccomi che mi presento. La tipa, quella più arcigna, dopo aver scrutato
i miei due bagagli e controllato la carta di imbarco sul mio telefono esordisce:
“lei non ha la priorità e nemmeno il secondo bagaglio”.
“Esatto”,
faccio io. “L’ultima volta i suoi colleghi mi dicevano che Ryanair aveva dato
disposizione comunque di imbarcare anche il secondo bagaglio” aggiungendo a
bassa voce “anche senza averlo pagato”.
“È vero”, replica lei scocciata, “ma
dal primo di maggio è cambiato tutto nuovamente. E ora si paga”, conclude
perentoria.
“Bene. Quant’è?”.
“Sono venti euro”.
“Perfetto. L’importante che mi dia
la ricevuta”.
“Ovvio. Lei può pagare in contanti?”
“No, mi dispiace; non ho contanti”.
“Non ha venti euro?”, incredula.
“No”.
“Ok. Quindi paga con la carta,
giusto?”
Confermo con il capo.
L’aereo
ha ormai imbarcato quasi tutti i passeggeri mentre lo sportello posteriore
viene lentamente chiuso e la scala mobile portata via.
“Mah…”, fa l’arcigna all’altra “mi
pare che il bancomat è qualche giorno che non funziona, comunque chiama un po’
Marianna e senti se porta la macchinetta per fare il pagamento”.
Attendo.
So che il tempo in questo caso gioca a mio favore.
“Mari, scusa, c’è qui un passeggero che
deve pagare venti euro, puoi portare la macchinetta? Grazie. Ti aspettiamo,
siamo all’uno. Sbrigati, però, che ormai non c’è più nessuno e c’è rimasta solo
questa persona” conclude appoggiando la cornetta del telefono.
Aspetto.
Capisco che il tempo scorre. Le due tipe si lanciano occhiate interlocutorie.
Quando vedo l’ultimo passeggero salire la scala
anteriore e sparire dentro mi avvicino alla porta vetrata e butto un occhio in
direzione dell’aereo, mentre sento dall’altra parte le tipe dire “ché poi tutte
le priorità sono terminate. Anche volendo, come facciamo a mandarlo su con il
secondo bagaglio ma senza la priorità?”
Qualcosa
sta per muoversi; a mio vantaggio. Ma attendo ancora ancora qualche secondo.
Non è il momento di intervenire.
“Be’,
aggiungono poi le tipe “potremmo sentire il responsabile degli assistenti di
volo e capire se possiamo mandarlo anche se priorità e secondo bagaglio non ci
sono”.
Capisco
che è il momento di farmi vedere e voltandomi “scusate, non è
che mi fate perdere il volo, no?”
“No, non si
preoccupi ora chiamiamo lì” fanno prendendo nuovamente la cornetta del telefono
ma questa volta per comunicare con l’assistente di volo.
“Ok, può
andare” fa l’arcigna e poi voltandosi verso la seconda aggiunge “ah, eccola
Marianna”.
Rimango
immobile mentre Marianna arriva e conferma che ha la macchinetta.
“E quindi?”,
faccio io.
“Può
andare” risponde sicura l’arcigna.
“Ma,
scusate,” replica Marianna “ho qui la macchinetta”.
Prendo,
saluto e me ne vado.
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