venerdì 24 maggio 2019

31. Un BlaBlaCar senza blabla



Dopo due ore di attesa era stanco morto.
Bruxelles, ruminava, sarà pure un posto dove tutti dicono che una occupazione la trovi, che è impossibile non lavorare. Sarà pure così, scuoteva la testa, ma intanto lui continuava a campare in questo modo. Nascondendosi dentro BlaBlaCar.
D’altra parte, si interrogava, da quant’è che Pierre continua a consegnare pizze con Deliveroo?
E quanto poteva ancora funzionare questa cosa di BlaBlaCar? E se poi un giorno lo avesse fermato la polizia?

Quale spiegazioni avrebbe fornito per quelle persone nella sua macchina? Che diceva di quegli stranieri che erano sempre nella sua auto?
Meglio non pensarci.

Era partita casualmente questa storia di BlaBlaCar. Cellou infatti faceva avanti indietro per andare a lavorare vicino all’aeroporto e poi il suo amico Pierre, una sera che stavano mangiando ali di pollo e bevendo Simba e Tembo, gli chiese se la conosceva questa cosa di BlaBlaCar.
No, non la conosceva.
E cosi aveva cominciato, per cercare compagnia; così aveva iniziato, per parlare con qualcuno sul tragitto noioso casa-lavoro-casa.

Ma poi un giorno quando la Caterpillar aveva deciso di licenziarlo non gli restò che dover parlare con qualcuno per lavoro.

Ne aveva fatta di strada dal piccolo villaggio vicino a Kinshasa da dove se n’era fuggito tre anni prima. I belgi hanno ancora la coscienza sporca del gran casino combinato dalle sue parti. E ad uno come lui, disinvolto e pieno di coraggio, ci sarebbe voluto poco raccontare una storia da far bere ad un Theo Francken qualsiasi, e poter poi salire sulla Brussels per farsi trasportare fino a Zaventem.
“Guardate”, ripeteva sempre agli amici, “io ci riuscirò ad andare in Belgio. Non sono mica come voi che morirete qui come cani randagi che nessun padrone vorrà mai riprendersi. E una volta a Bruxelles vedrete cosa combinerò”.
“Che cosa combinerò?”
“Anzi che cosa ho combinato finora?”, rimuginava.
“Niente. Sono qui ad aspettare della gente alle undici di sera per raccattare venti euro”, rifletteva amaro.
“Sono qui al solito parcheggio”, aveva scritto su WhatsApp ai tipi con cui aveva l’appuntamento.
E aveva poi aggiunto indeciso se non fosse troppo impudente “Quante avete ancora? Scusate, ma è un po’ che sono qui” dopo aver però prima cancellato “sono qui da quasi due ore, Cristo!” ma non poteva scriverlo ai clienti che si fingono amici che viaggiano su BlaBlaCar.

Perché i clienti che si fingono amici sono come quei mariti che quando tornano a casa vogliono la moglie truccata, sorridente e la cena pronta.

Perché con clienti che si fingono amici occorreva conversare su BlaBlaCar; piccole chiacchiere, per carità; ma Cellou limitava ormai al massimo la conversazione ed aveva trovato uno stratagemma: della buona musica con il volume sempre un poco alto, in modo da togliere ai suoi passeggeri la voglia di fare domande, cui poi dover rispondere. La selezione musicale era sempre la stessa e lui non la sentiva più con la testa rivolta ancora agli amici di Kinshasa.
“Chissà che cosa staranno facendo ora?”




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