A Bruxelles da settembre per un tirocinio di quattro mesi in una società di consulenza, Luis Fernando Miguel Bamba stava completando la magistrale in “Relazioni internazionali” e veniva da Genova. Era d’origine peruviana, il padre, infatti, ci si era trasferito alla fine degli anni Ottanta da Angoteros, dove lavorava per una cooperativa agraria che coltivava banane.
Invitato a cena da Filippo,
suo collega di tirocinio, era indeciso se andarci o meno. Ma perché
cazzo il capo fosse stato invitato questo proprio non riusciva a spiegarselo.
Alzò gli occhi al soffitto e sospirò.
Aveva compiuto ventisette anni da qualche mese e percepiva il
traguardo dei trenta puntargli pericolosamente contro. Che cosa aveva combinato
finora?, si interrogava con una certa insistenza più si riduceva il
numero degli anni che lo separava da tale termine.
Spalle larghe, barbetta
incolta, orecchino al lobo sinistro, viso vagamente andino, portava occhiali
con una montatura leggera nera; abbigliamento curato: Primark era diventato il
suo sfogo settimanale.
S’era
fatto il culo durante l’estate come commesso in un negozio di Prada ed ora
stava buttando via parte dei soldi guadagnati per mantenersi, dal momento che
la borsa Erasmus vinta era, più o meno, sufficiente a pagarsi un buco di
stanza.
A Bruxelles ci voleva
traslocare definitivamente ed ogni occasione era preziosa per mandare
curriculum e fissare colloqui qui e su Skype. Una volta che aveva digitato
sulla stringa di Google il verbo “trovare…”
la seconda opzione che gli era comparsa riportava “trovare lavoro a Bruxelles” ed
aveva realizzato: cazzo… per me non c’è nessuna speranza!
Anche se non avesse trovato
un lavoro a Bruxelles, s’era rassicurato più volte, ne
poteva pescare uno tipo a Juba, Bangui o Bagdad. L’importante era tirarne fuori
uno e smettere con ‘sta storia dei tirocini il più rapidamente possibile.
Qualche settimana prima era
tornato a Genova per parlare con il relatore della sua tesi e gli bolliva
tuttora il sangue: dopo un’ora di attesa era
riuscito finalmente ad entrare nella stanza, ad illustrare il primo capitolo
mentre il professore era occupato a digitare sul cellulare. Aveva poi
cominciato ad introdurre il secondo capitolo quando il professore alzando lo
sguardo gli aveva chiesto:
“Scusi,
ma… lei… lei chi è?”
“Come…?
Professore, sono Luis Bamba. Le ho inviato la tesi due settimane fa e mi aveva dato
appuntamento per oggi.” Coglione che non sei altro, pensò, mentre si strofinava
sui jeans le mani sudate.
“Ah…
Bamba! Come no? La tesi? Benissimo! Ho letto tutto. Può andare.”
“Può
andare?” replicò raggiante Luis, anche se un filo di ansia l’aveva attraversato
un attimo dopo aver espresso la domanda.
“Sì
sì… può andare… ci rivediamo il giorno della discussione. Arrivederci Bamba!”
S’era
ripromesso “mai più!” Mai più in un paese cosi.
E mentre ancora si rodeva dall’incazzatura, aprì lo sportello
dell’armadio colpendo la scrivania nel tentativo di spostarsi di lato per non
urtare il letto.
Un maglione a collo alto
grigio e un paio di pantaloni neri e stretti erano l’esito
della ricerca. Indossato il “centogrammi” gli arrivò una chiamata da Filippo:
il boss aveva avuto un contrattempo e saltava la cena.
Esultò,
anche se poi, forse, un po’ gli dispiaceva. Gli avevano raccomandato: a
Bruxelles è importante “fare network” e una cena così, si rammaricò, sarebbe
stata il top!
Cambiò idea nuovamente. Si levò il “centogrammi”, andò in cucina, prese una birra, si mise alla finestra a vedere i passanti che camminavano sotto una pioggia che non bagnava. Si accese una sigaretta, stappò una Jupiler e il riflesso della pioggia sul selciato gli fece tornare a mente Sampierdarena, il quartiere dov’era cresciuto.
Cambiò idea nuovamente. Si levò il “centogrammi”, andò in cucina, prese una birra, si mise alla finestra a vedere i passanti che camminavano sotto una pioggia che non bagnava. Si accese una sigaretta, stappò una Jupiler e il riflesso della pioggia sul selciato gli fece tornare a mente Sampierdarena, il quartiere dov’era cresciuto.
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