venerdì 8 febbraio 2019

46. L'Erasmus, il tirocinio, la tesi da discutere e una lavoro da trovare




A Bruxelles da settembre per un tirocinio di quattro mesi in una società di consulenza, Luis Fernando Miguel Bamba stava completando la magistrale in “Relazioni internazionali” e veniva da Genova. Era d’origine peruviana, il padre, infatti, ci si era trasferito alla fine degli anni Ottanta da Angoteros, dove lavorava per una cooperativa agraria che coltivava banane.
Invitato a cena da Filippo, suo collega di tirocinio, era indeciso se andarci o meno. Ma perché cazzo il capo fosse stato invitato questo proprio non riusciva a spiegarselo.
Alzò gli occhi al soffitto e sospirò.

Aveva compiuto ventisette anni da qualche mese e percepiva il traguardo dei trenta puntargli pericolosamente contro. Che cosa aveva combinato finora?, si interrogava con una certa insistenza più si riduceva il numero degli anni che lo separava da tale termine.

Spalle larghe, barbetta incolta, orecchino al lobo sinistro, viso vagamente andino, portava occhiali con una montatura leggera nera; abbigliamento curato: Primark era diventato il suo sfogo settimanale.
S’era fatto il culo durante l’estate come commesso in un negozio di Prada ed ora stava buttando via parte dei soldi guadagnati per mantenersi, dal momento che la borsa Erasmus vinta era, più o meno, sufficiente a pagarsi un buco di stanza.
A Bruxelles ci voleva traslocare definitivamente ed ogni occasione era preziosa per mandare curriculum e fissare colloqui qui e su Skype. Una volta che aveva digitato sulla stringa di Google il verbo “trovare…” la seconda opzione che gli era comparsa riportava “trovare lavoro a Bruxelles” ed aveva realizzato: cazzo… per me non c’è nessuna speranza!
Anche se non avesse trovato un lavoro a Bruxelles, s’era rassicurato più volte, ne poteva pescare uno tipo a Juba, Bangui o Bagdad. L’importante era tirarne fuori uno e smettere con ‘sta storia dei tirocini il più rapidamente possibile.
Qualche settimana prima era tornato a Genova per parlare con il relatore della sua tesi e gli bolliva tuttora il sangue: dopo un’ora di attesa era riuscito finalmente ad entrare nella stanza, ad illustrare il primo capitolo mentre il professore era occupato a digitare sul cellulare. Aveva poi cominciato ad introdurre il secondo capitolo quando il professore alzando lo sguardo gli aveva chiesto:
“Scusi, ma… lei… lei chi è?”
“Come…? Professore, sono Luis Bamba. Le ho inviato la tesi due settimane fa e mi aveva dato appuntamento per oggi.” Coglione che non sei altro, pensò, mentre si strofinava sui jeans le mani sudate.
“Ah… Bamba! Come no? La tesi? Benissimo! Ho letto tutto. Può andare.”
“Può andare?” replicò raggiante Luis, anche se un filo di ansia l’aveva attraversato un attimo dopo aver espresso la domanda.
“Sì sì… può andare… ci rivediamo il giorno della discussione. Arrivederci Bamba!”
S’era ripromesso “mai più!” Mai più in un paese cosi.

E mentre ancora si rodeva dall’incazzatura, aprì lo sportello dell’armadio colpendo la scrivania nel tentativo di spostarsi di lato per non urtare il letto.

Un maglione a collo alto grigio e un paio di pantaloni neri e stretti erano l’esito della ricerca. Indossato il “centogrammi” gli arrivò una chiamata da Filippo: il boss aveva avuto un contrattempo e saltava la cena.
Esultò, anche se poi, forse, un po’ gli dispiaceva. Gli avevano raccomandato: a Bruxelles è importante “fare network” e una cena così, si rammaricò, sarebbe stata il top!
Cambiò idea nuovamente. Si levò il “centogrammi”, andò in cucina, prese una birra, si mise alla finestra a vedere i passanti che camminavano sotto una pioggia che non bagnava. Si accese una sigaretta, stappò una Jupiler e il riflesso della pioggia sul selciato gli fece tornare a mente Sampierdarena, il quartiere dov’era cresciuto.

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