venerdì 1 febbraio 2019

47. Il filo di carta di Bogdan




Bogdan Bălan s'era svegliato presto anche stamane. Aveva mantenuto l’abitudine di puntare la sveglia alle 6.30 nonostante non lavorasse ormai da tempo. Il proprietario del suo indirizzo gli aveva dato appuntamento per le otto del mattino. Sapeva cosa volesse da lui, ma il problema era che lui non sapeva cosa volesse da sé. Una volta al mese, o giù di lì, tornava per smaltire la corrispondenza inviata dal ministero. La sua relazione con Bruxelles si era tanto affievolita che rimaneva attualmente appesa a questo filo: nessun'altro gli scriveva, figuriamoci per posta.
Originario di Căzănești, non s’era mai totalmente adattato ad una città cosi grande: troppa gente e molto caos. Nel corso del tempo però s'era innamorato del francese, che trovava simile al rumeno, e di Brel. Più vicino ai quaranta che ai trenta, piccolo di statura, tarchiato, il naso con una gobbetta accanto all'attaccatura degli occhi, i capelli rabbuffati; si era leggermente ingrassato a seguito dell’incidente. Dopo la scuola, visto che un lavoro non arrivava, Bucarest gli sembrava il luogo per provare a trovarne uno.

Qui un amico gli aveva accennato di Bergamo dove i manovali erano assai richiesti. Non voleva andarci e ci rimase quasi dieci anni. Poi la crisi lo portò, come tanti altri rumeni emigrati in Italia, a ripartire e finì a fare il pavimentista a Bruxelles.

 Si calzò il cappello di lana rosso, vezzo di quando la mattina usciva presto con i suoi colleghi sporchi di calce e di pittura, si accese la prima Carpati senza filtro e si incamminò verso chaussée de Louvain. L’aria era gelida e la neve caduta qualche giorno prima era ora ghiaccio su cui lui si trascinava incapace di pensare.

 Giunse all’indirizzo affittato. La tentazione di suonare il citofono con la scritta “Bălan” era enorme. Ma si arrestò giacché non voleva disturbare l’inquilino dell’appartamento affittato
Tirò fuori le chiavi del portone ed entrò.

 Carmelo arrivò trafelato, un cellulare in mano e l’altro all'orecchio, gli fece un cenno. Terminata la chiamata esordì:
“Bogdan, buongiorno!”
“Buongiorno Carmelo, come sta?”
“Bene, bene. Vado subito al punto, se non ti dispiace.”
“La settimana scorsa c’è stato un nuovo controllo del ministero. Che dobbiamo fare? Questo rischio per 200 euro al mese non me lo prendo più”, lo minacciò, facendo no no con la testa.
“Capisco bene, non so che fare anche io. Forse vorrei tornare a casa mia, definitivamente; lasciare l’indirizzo. I miei s’invecchiano sempre più e a me piacerebbe aprire qualcosa di mio. C’è una spiaggia dove andavo da bambino ogni estate: è una delle spiagge più belle di tutto il Mar Nero, potrei aprirmi un bar, un ristorante italiano o, perché no?, un bistrot!”, esclamò sorridente.
“Be’ Bogdan, mi sembra una buona idea.”
“A proposito”, si rammentò poi Carmelo, voltandosi e indicando un mobile proprio sotto le scale, “lì trovi tutta la posta che ti ha spedito il ministero”.
“Bene, bene.  Ora me la prendo. La ringrazio Carmelo per averla conservata. Con loro è meglio non scherzare!” concluse intimorito.
“Senta… glielo prometto… davvero domani pomeriggio la chiamo e così le dico la mia decisione. Ora ho troppe cose qui dentro, mi scoppia la testa. Le dispiace?”
“No… ma che sia domani eh!, Bogdan. Non voglio più tornarci su”, concluse scocciato Carmelo.
“Glielo farò sapere, di sicuro”.
E poi stringendogli la mano Bogdan Bălan si accomiatò.

 Prese le lettere del ministero se le ficcò nel giaccone. L’ultimo filo, quello di carta, non si decideva ancora a recidersi. Mentre s’incamminava, all’angolo della strada, ebbe l’impressione di udire qualcuno che fischiettava “Ne me quitte pas…”

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