venerdì 5 aprile 2019

38. Quella volta del colloquio di lavoro da Primark




“Cami?”
“Camille, hai fatto?”
Aveva già bussato una prima volta e, conoscendola, la sera prima s’era anche raccomandato. Ma lei era così: quando si trattava del bagno ci poteva stare anche delle ore. Ribussò nuovamente. 
Stamane lui non poteva attenderla.
“Ho fatto, ho fatto. Marco, solo un secondo, e te lo lascio”, replicò dall’altra parte.

S’era girato e rigirato tutta la notte: non aveva chiuso occhio.

Aveva superato la prima selezione ed oggi avrebbe avuto il colloquio di lavoro come addetto alle vendite per la nuova sede di Primark a Ixelles. E voleva quel posto. Ne aveva disperatamente bisogno: alla sua età non è che fossero rimaste molte altre possibilità di trovarne uno decente, di lavoro. Si tormentava ripetendo “avessi avuto ora venti anni: sai quanto avrei spaccato?” Ne aveva superati il doppio da un pezzo.
Da un suo amico “bénévole” in un centro culturale di Schaerbeek aveva saputo che da Primark cercavano gente da assumere, a tempo indeterminato; non gli pareva vero, diviso, com’era, fra Deliveroo e altri lavoretti.

Avrebbe dovuto spegnere i termosifoni, pensava; nella sua stanza faceva caldo, troppo caldo: forse era stato questo il problema.

Era in coloc” con altre due persone: tizi simpatici anche se, credeva, troppo giovani per lui. Se la cosa da Primark fosse andata a buon fine aveva già adocchiato uno studio sui 600 euro al mese, tutto incluso; e sarebbe stato perfetto per lui.
Quella stessa mattina Andrés aveva preso servizio sulla prima corsa del tram numero tre. Poco dopo aveva ricevuto un SMS dalla madre giù da Jaén: “quand’hai il primo volo?” gli aveva domandato. Avrebbe voluto tornarsene a casa e mettersi sul divano a piangere; ma un lavoro alla Stib era sempre un lavoro alla Stib.
L’appuntamento con il responsabile delle risorse umane di Primark era alle nove e a Marco sarebbe servita una buona mezzora per arrivare a rue Neuve. Aveva calcolato con estrema precisione il tempo e il tragitto necessari. Suo padre gli raccomandava costantemente: “cerca di arrivare sempre qualche minuto prima ai colloqui di lavoro”; e questa volta, chissà perché, aveva deciso di seguirne il consiglio. Non abitava troppo lontano dal parco Josaphat: doveva prendere il sette e poi cambiare a van Praet e da lì poi il tre fino a Rogier; e poi ancora a piedi fino a Rue Neuve.
Arrivato a Demolder Marco vide tutti passeggeri muoversi, non ne capiva le ragioni: si levò le cuffie e sentì l’autista del tram gridare “Terminus!
Gli toccava scendere. Non l’aveva programmato e il prossimo tram sarebbe passato dopo cinque lunghi minuti. Non appena arrivò, un mucchio di gente si riversò sulla strada. Ora sul marciapiede s’era formata una bella folla.

E adesso?
Si guardava attorno camminando nervosamente avanti e indietro.

Eccolo finalmente il sette. Si fece largo tra la folla e salì di corsa dando uno spintone ad un anziano che per poco non cascava per terra. Cazzo questo contrattempo non ci voleva, si ripeteva. Giunto a van Praet prese la coincidenza al volo montando sul tre e piazzandosi proprio accanto all’autista. Ormai fuori di sé, gli imprecava contro incitandolo ad andare più rapido; sì, perdio, più rapido!
Alla fermata di gare du Nord, Andrés aveva deciso che ne aveva abbastanza degli insulti del tipo, uscì dall’abitacolo e gli mollò un sinistro facendolo atterrare un metro più dietro. Dopo esser rientrato, si risistemò la giacca e chiamò la sicurezza facendo presente che sul mezzo c’era un pazzo molesto da venire a recuperare.

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