“Cami?”
“Camille, hai fatto?”
Aveva
già bussato una prima volta e, conoscendola, la sera prima s’era
anche raccomandato. Ma
lei era così: quando si trattava del bagno ci poteva
stare anche delle ore. Ribussò nuovamente.
Stamane lui non poteva attenderla.
“Ho fatto, ho fatto. Marco, solo un
secondo, e te lo lascio”, replicò dall’altra parte.
S’era girato e rigirato
tutta la notte: non aveva chiuso occhio.
Aveva superato la prima selezione ed
oggi avrebbe avuto il colloquio di lavoro come addetto alle vendite per la
nuova sede di Primark a Ixelles. E voleva quel posto. Ne aveva disperatamente
bisogno: alla sua età non è che fossero rimaste molte altre possibilità di
trovarne uno decente, di lavoro. Si tormentava ripetendo “avessi avuto ora venti
anni: sai quanto avrei spaccato?” Ne aveva superati il doppio da un pezzo.
Da
un suo amico “bénévole” in un centro culturale di
Schaerbeek aveva saputo che da Primark cercavano gente da assumere, a tempo
indeterminato; non gli pareva vero, diviso, com’era,
fra Deliveroo e altri lavoretti.
Avrebbe
dovuto spegnere i termosifoni, pensava; nella sua stanza faceva caldo, troppo
caldo: forse era stato questo il problema.
Era
in “coloc”
con altre due persone: tizi simpatici anche se, credeva, troppo giovani per
lui. Se la cosa da Primark fosse andata a buon fine aveva già adocchiato uno
studio sui 600 euro al mese, tutto incluso; e sarebbe stato perfetto per lui.
Quella
stessa mattina Andrés aveva preso servizio sulla prima
corsa del tram numero tre. Poco dopo aveva ricevuto un SMS dalla madre giù da
Jaén: “quand’hai il primo volo?” gli aveva domandato. Avrebbe voluto tornarsene
a casa e mettersi sul divano a piangere; ma un lavoro alla Stib era sempre un
lavoro alla Stib.
L’appuntamento
con il responsabile delle risorse umane di Primark era alle nove e a Marco sarebbe
servita una buona mezzora per arrivare a rue Neuve. Aveva calcolato con estrema
precisione il tempo e il tragitto necessari. Suo padre gli raccomandava costantemente:
“cerca di arrivare sempre qualche minuto prima ai colloqui di lavoro”; e questa
volta, chissà perché, aveva deciso di seguirne il consiglio. Non abitava troppo
lontano dal parco Josaphat: doveva prendere il sette e poi cambiare a van Praet
e da lì poi il tre fino a Rogier; e poi ancora a piedi fino a Rue Neuve.
Arrivato
a Demolder Marco vide tutti passeggeri muoversi, non ne capiva le ragioni:
si levò le cuffie e sentì l’autista del tram gridare “Terminus!”
Gli
toccava scendere. Non l’aveva programmato e il prossimo
tram sarebbe passato dopo cinque lunghi minuti. Non appena arrivò, un mucchio
di gente si riversò sulla strada. Ora sul marciapiede s’era formata una bella
folla.
E
adesso?
Si
guardava attorno camminando nervosamente avanti e indietro.
Eccolo
finalmente il sette. Si fece largo tra la folla e salì di corsa dando uno
spintone ad un anziano che per poco non cascava per terra. Cazzo questo
contrattempo non ci voleva, si ripeteva. Giunto a van Praet prese la
coincidenza al volo montando sul tre e piazzandosi proprio accanto all’autista. Ormai fuori di sé, gli imprecava contro incitandolo ad andare più rapido; sì, perdio,
più rapido!
Alla fermata
di gare du Nord, Andrés aveva
deciso che ne aveva abbastanza degli insulti del tipo, uscì dall’abitacolo
e gli mollò un sinistro facendolo atterrare un metro più dietro. Dopo esser rientrato,
si risistemò la giacca e chiamò la sicurezza facendo presente che sul mezzo c’era un
pazzo molesto da venire a recuperare.
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